Archeologia ne "Il Priorato dell'Albero delle Arance"
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È questo il problema con le storie, bambina. Non c'è modo di valutare la verità che contengono.Ah sì?Il Priorato dell'Albero delle Arance Samantha Shannon (2019) [ed. italiana, Anno 2023 - ristampa 9, Oscar Fantastica Mondadori]
Mi è subito venuto da commentare.
Magari da sole sì, le storie non bastano, ma non è propriamente detto che non c'è modo di capire quali parti di una storia siano veritiere e quanto lo siano.
Certo è un cruccio delle fonti storiche scritte e orali, per cui comunque la storiografia ha già elaborato suoi metodi per capire il livello di veridicità, ma se ciò non bastasse ecco che non bisogna dimenticarsi che l'archeologia fa (o almeno cerca di fare) proprio questo: dove le storie raccontate e conservate dalle persone volontariamente non sono affidabili, o dove mancano proprio, si vanno a studiare le fonti materiali (i.e.: contesti e materiali con tracce umane) con gli indizi non per forza volontari che recano addosso e con le relazioni fisiche tra di loro.
Messa così l'archeologia sembra una disciplina oltremodo intrusiva, con poca fiducia negli esseri umani e del modo in cui si vogliono rappresentare, quando già questo sarebbe un dato abbastanza indicativo delle narrative che le persone vogliono sviluppare. La sociologia e la psicologia fanno anche questo in parte.
E allora perché questa ricerca non-consensuale delle fonti?
Perché non saprei. O meglio, secondo me molto è da cercare nella radice del pensiero analitico che vuole basi logiche più salde della semplice fiducia, già di per sé un atteggiamento discutibile e che qualora non trattato con attenzione può sfociare in uno scetticismo decisamente deleterio per i rapporti umani... parte delle responsabilità della scienza occidentale e la sua pretesa di oggettività assoluta? Forse.
È comunque anche vero che in mancanza di fonti diverse, perchè non prodotte per iscritto e non tramandate oralmente o per scelta o per circostanza, questo abuso di curiosità può diventare uno strumento molto utile e forse comprensibile -se non proprio giustificabile.
Pensiamo ad esempio a quella che consideriamo Preistoria, proprio perchè abbiamo voluto fare di tutto il periodo in cui ci mancano fonti scritte un unico grosso raggruppamento confuso della storia dell'umanità.
Ecco: in questo caso scoprire come possono essere andate veramente le cose ci aiuta a combattere stereotipi su noi stessi tanto nel passato (tipo che non vivevamo solo in caverne con clave e facendo semplici versi gutturali) quanto nel presente (perchè questa Preistoria rappresenta almeno il 97% della nostra storia sul pianeta e non possiamo davvero credere che non ci sia altro modo di viverci sopra oltre a quelli che conosciamo meglio nell'ultimo 3% di Storia...).
L'archeologia ci aiuta a fare questo, aggiungere una versione in più ai fatti, ma come altre scienze storiche ha la responsabilità di non aver limitato (o aver proprio cavalcato) la diffusione di certe semplificazioni verso il pubblico esterno.
Insomma, eticamente parlando forse anche questa disciplina può avere un suo senso, sempre che non dimentichi il suo ruolo come creatrice di narrative che non sono più valide di altre solo per una presunta oggettività derivante dal metodo scientifico con cui sono sviluppate.
Perchè comunque, alla fine della storia (pun intended!), sono sempre delle persone che la raccontano e ignorare questo fattore rischia di vanificare ogni sforzo per quanto eticamente valido.
È anche per questo che onestamente, da archeologo, non me la sento di giudicare fino in fondo la considerazione sulle storie fatta dal personaggio.
Mi limito a chiedere quel "Ah sì?" come provocazione, aspettando lo sviluppo della narrativa del libro, curioso di capire quanta archeologia effettivamente sarà messa in campo per rivelare quella parte di storia passata. O meno, perché all'autrice basterebbe scrivere un flashback o far parlare qualche personaggio sopravvissuto per tutto quel tempo, essendo un romanzo fantasy.
Dopotutto il primo trigger archeologico mi era già scattato da qualche pagina precedente (cioè p. 94 edizione italiana), nel ricordo di un personaggio dalla voce "profonda e suadente" che "si infervorava ogni volta che conversavano di arte e storia". Il contesto storiografico dell'ambientazione sembra ancora più chiaro entro la fine del paragrafo, dove compare un'idea romantica di antiquariato antichistico e forse rievocazione archeologica:
Con la sola forza delle parole poteva rendere magnifico il più insulso degli oggetti, far sorgere dalla polvere intere civiltà.
Chissà, sembra un mondo complesso in cui ci sono persone con competenze storiche ma anche tanto conflitto tra scienza e religione, magari più avanti nella lettura verranno fuori altre riflessioni interessanti sulla questione...
Intanto è il primo blogpost in italiano. Per il semplice motivo che sto leggendo il libro nella versione tradotta (per la cronaca -da Benedetta Gallo) e non ho (ancora) voglia di fare un cross-check con l'originale.
Vedremo...